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la regolazione emotiva nei processi espressivi

 Sir Arthur Conan Doyle nel libro Il ritorno di Sherlock Holmes scrive: “non è bello avanzare sospetti quando non si hanno prove.” Una frase che nella sua banale manifestazione mette in evidenza la profonda discrepanza tra ciò che è realmente riscontrabile nella realtà, e un processo di pensiero sempre pronto a disconoscerne la sua validità. Tra le azioni realmente ultimate e la tendenza – ciononostante - a rinnegarne la loro legittimità. Tornando a Conan Doyle: perché l’uomo avanza continuamente sospetti su se stesso anche qualora non ha prove sufficienti? In altre parole: perché l’uomo dubita continuamente di se stesso anche quando le azioni vanno in un senso completamente opposto? In psicologia, per sensibilità si intende la facoltà di un essere vivente di conoscere per mezzo dei sensi e di provare il piacere o il dolore accompagnanti le sensazioni. In fisiologia, invece è la particolare forma di attività del sistema nervoso che per suo mezzo diviene capace di avvertire e di analizzare gli stimoli che agiscono sull’organismo dall’esterno o dall’interno, informandone o no la coscienza. E i pensieri quanto limitano o incidono sulla capacità di dare voce alla parte più sensoriale ed emozionale che l’essere umano ha a disposizione? E se i pensieri imprigionassero la realtà impedendo all’essere umano di riconoscerla e di comprenderla fino in fondo?

Secondo la teoria della terapia cognitivo-comportamentale, il malessere psicologico dipende spesso dal contenuto dei pensieri che abitano la nostra mente il quale dandoli per scontati li consideriamo veri; questo crea un esperienza paradossale: che l’uomo pur agendo in maniera significativa crede che non lo stia facendo affatto e quindi giudica se stesso senza prendere in considerazione l’oggettività delle proprie azioni e creando delle convinzioni opposte rispetto alla realtà da egli stesso crea. Perché ciò avviene?   

Stando alla definizione di Marsha Linehan, psichiatra ideatrice della Dialectical Behavior Therapy, la sensibilità emotiva viene definita come il risultato dell’interazione tra fattori biologici, temperamentali e un ambiente di sviluppo invalidante, non in grado di prendersi cura dei bisogni emotivi del bambino. Nello specifico, una delle funzioni chiave dei nostri caregiver è insegnare implicitamente, attraverso la messa in atto di comportamenti, ed esplicitamente, comunicando regole, come fronteggiare stati emotivi indesiderati. Il bambino apprende così un’abilità complessa, di importanza fondamentale, definita regolazione emotiva. D’altro canto, l’esposizione a un ambiente incompetente, porta immancabilmente ad acquisire modalità regolatorie inefficaci, che nel tempo possono risultare altamente disfunzionali. Se ad esempio un ragazzo viene rimproverato aspramente per un errore commesso. Immaginiamo ora che questo ragazzo non abbia una particolare vulnerabilità biologica e che sia cresciuto in un ambiente supportivo e competente. A questo punto, è probabile che il ragazzo inizierà a sperimentare una crescente emozione spiacevole, magari di vergogna. Il tono muscolare inizierà a ridursi e il sangue andrà a irrorare viscere e cute, colorandogli di rosso il viso. Le abilità di regolazione emotiva lo porteranno a modulare l’emozione sperimentata, senza la necessità di sopprimerla o combatterla. Lo stato emotivo di vergogna, operando la sua funzione naturale, lo spingerà a fermarsi, a non agire impulsivamente, e ad accettare, suo malgrado, la situazione di temporanea sottomissione. Quando il superiore sarà andato via, lo stato emotivo di vergogna continuerà a farsi sentire, ma gradualmente si abbasserà fino a scomparire. Il ragazzo avrà sperimentato che può tollerare l’emozione di vergogna, si interrogherà su come poter far fronte alle richieste del capo, senza rimproverarsi troppo. La ferita inferta dalla vergogna presto si rimarginerà, lasciando intatta la propria immagine di sé. Ovviamente se il ragazzo non ha competenze emozionali adeguate la sua risposta sarà diametralmente opposta con l’affiorare di una forte spinta a sopprimere l’emozione, un impulso ad agire per far cessare uno stato emotivo percepito come pervasivo e ingestibile, provando rabbia e un forte senso di frustrazione e impotenza, confermando a se stesso che l’emozione di vergogna è intollerabile e aumentando il proprio senso di impotenza. Lo stato emotivo di vergogna sarebbe restato presente per lungo tempo rinforzato da processi di ruminazione. Questo evento si sarebbe trasformato in una condizione dell’essere e si sarebbe modificata in una convinzione che la realtà non riuscirà ad alterare o scalfire e questa diventerà una prova alla quale l’individuo crederà in maniera automatica e generando dentro se stesso un dubbio pervasivo e sempre presente.

Il dubbio quindi da un lato è il risultato di una sensibilità privata della sua regolazione emotiva e dall’altro da una presenza costante di pensieri che rafforzano il senso di impotenza creando un allontanamento dal senso di realtà.

La musicoterapia espressiva corporea si pone come obiettivo quello di riportare il paziente alla realtà ricreando le condizioni e proponendo esperienze mirate alla valorizzazione e alla stimolazione della regolazione affettiva mediante training corporei specificatamente elaborati per riportare il paziente a una condizione fisiologica ed emotiva tale da consentirgli di relazionarsi alla realtà in un modo totalmente nuovo. Da un lato la consapevolezza, che gli consentirà di prendere le distanze dai pensieri. Dall’altra l’azione espressiva che rafforzerà la sua presa di coscienza nei riguardi della personale costruzione della propria identità. Attraverso la musicoterapia espressiva corporea quindi si può accedere a schemi emotivi e corporei ereditati da convinzioni, pensieri e dubbi frutto di una sensibilità emotiva originariamente nè contenuta nè regolata.  

l'azione consapevole sorretta e supportata dal suono, nelle esperienze proposte rende distinguibile la realtà dalle convinzioni, poichè il gesto nella sua esistenza creativa e trasformativa diventa uno strumento indubbiamente capace di mettere in discussione sia l'ipoteticità dei pensieri che la realtà disegnata dagli stessi. 

 

 

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