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L'espressività di un movimento invisibile

 Rudolf Nureyev dice: “per dare bisogna avere qualcosa dentro.” Carl Gustav Jung sulla stessa falsariga del grande danzatore russo scrive: “senza emozione, è impossibile trasformare le tenebre in luce e l’apatia in movimento.” Ognuna di queste frasi fanno riferimento alla profondità di un’azione che viene espressa e quindi regalata, e nel dare entrambi rievocano il trasporto, il vigore, che esiste nella profondità di un movimento capace di dare vita a una trasformazione, un cambiamento, che passa attraverso le tenebre per poi ricongiungersi con la luce. Il corpo diventa quindi uno strumento di espressione nell’attimo in cui il gesto invece di deragliare nel vuoto dell’abitudine racconta la profondità di chi lo ha realizzato. Il grande Mimo Etienne Delcroux nel famoso saggio Parole sul mimo scrive "guardate soprattutto come il mimo si china per cogliere un fiore. È questo l'importante, perché solo questo ci dice ciò che è utile sapere, e non che un fiore che prima era nel prato adesso è sul petto." L’attenzione quindi è ancora rivolta sulla natura del movimento e non sul suo contenuto estetico. Sul come e non sul cosa. William James, uno dei padri fondatori della psicologia afferma che le abitudini sono una caratteristica fondamentale delle cose e degli organismi. Come una serratura funziona meglio se usata spesso, come il letto del fiume si allarga se vi scorre più acqua, come l'abito si adatta al corpo se indossato frequentemente così i comportamenti diventano più "fluidi" se ripetuti molte volte, fino a non accorgercene più. Bas Verplanken, li definisce comportamenti che mettiamo in atto regolarmente in un contesto stabile, senza pensarci o rifletterci troppo. Si basano per lo più su decisioni che in passato abbiamo preso consapevolmente. Per quale motivo? Poiché il nostro cervello ha creato una via preferenziale veloce per simili comportamenti: le informazioni e gli impulsi scorrono veloci e sicuri, non devono prendere scorciatoie o strade alternative. Nel primo caso da me esposto mediante le parole di Nureyev, Jung e Delcroux il gesto veniva raccontato partendo dalle sue profonde capacità espressive. Un dono che permea nell’intimità per poi rivolgersi all’esterno. Nel secondo caso invece il gesto diventa istintivo, privo di emotività, abitudinario e quindi invisibile sia agli occhi di chi lo compie che di chi lo vede. La musicoterapia espressiva si pone quindi come obiettivo di rendere visibile un gesto precedentemente invisibile, offrendo ad esso, pur nella sua apparente banalità la profondità del dare in una dimensione espressiva ampia ed emotivamente intensa. Alzare il braccio non diventa comunemente un gesto isolato dal resto del corpo ma un’azione piena di vigore verso cui chi l’effettua rivolge non solo attenzione, ma anche un’emotività basata sul dare. Il grande antropologo Marcel Mauss nel saggio sul dono presuppone che il meccanismo del dono si articoli in tre momenti fondamentali basati sul principio della reciprocità e cioè: il dare, il ricevere e il ricambiare.Il dono implica secondo lo studioso francese una forte dose di libertà poiché il valore del dono sta nell'assenza di garanzie per il donatore. Un'assenza che presuppone una grande fiducia negli altri. Mauss aveva elaborato questa teoria facendo riferimento agli studi fatti presso tribù indigene su una forma di scambio che si basava su elementi materiali. Nella musicoterapia espressiva invece il dono perde la sua componente materiale sostituendola con una dimensione emozionale. Il dare diventa funzionale a una necessità espressiva e il ricevere alla consapevolezza di aver dato ad esso un senso e una profondità. Mentre il ricambiare diviene la matrice identitaria di una nuova abitudine che perde la sua invisibilità per trasformarsi in una verità visibile e funzionale a rafforzare identità ed espressione e quindi assume le sembianze non di un movimento adattivo ma il risultato di una presa di coscienza: che il gesto nella sua semplicità è libero da qualsiasi automatismo o regola sociale. Un gesto che diventa creativo, identitario e profondamente libero non può che stimolare e valorizzare un elemento che la società disconosce: la valorizzazione del particolare. In un contesto terapeutico la presa di coscienza della propria libertà, partendo da gesti semplici a cui prima non si dava particolare importante, equivale oltre a creare un senso di profondo benessere, anche e soprattutto i presupposti per proteggere la propria unicità e particolarità. La musicoterapia espressiva quindi come uno strumento di cura per elevare il singolo dalla sua apparente invisibilità mediante una gestualità che diventa principalmente un dono prima per se stesso e poi per il contesto in cui vive.       

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