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L’Attesa Terapeutica

 M. Masud Khan nel libro trasgressioni scrive “Attendere fa parte della natura dell’uomo. Da tempo immemorabile l’uomo attende qualcuno, o con devozione attende a qualcuno: una divinità, un dio, una persona amata (…). Gli enigmi e i paradossi dell’attesa sono fra le creazioni più nobili della mente e dell’animo dell’uomo. Tutti coloro che hanno intrapreso grandi viaggi negoziano l’attesa (…). L’attesa è l’esperienza cruciale di chiunque cerchi di costruirsi i propri strumenti per sperimentare se stesso e gli altri. L’attesa, la lunga attesa, può essere salute e può essere malattia. Colui che attende trova. La non-attesa garantisce la non-scoperta…”. Colui che attende trova. La non attesa garantisce la non – scoperta. Cosa e perché un terapeuta dovrebbe imparare ad attendere? Cosa attende veramente un terapeuta? Sono entrambe domande non comuni poiché riflettono, o meglio guardano in maniera più attenda alla profondità della relazione. Gli insegnanti, gli educatori, i musicoterapeuti e qualunque altra figura impegnata in un ambito che riguarda l’educazione, la pedagogia e il supporto emotivo, si trovano prima o dopo a relazionarsi con il senso dell’attesa e al tempo stesso, con la necessità viscerale e profonda di voler a tutti i costi cambiare, guarire e insegnare. Cosa comporta una non attesa? Un operatore esperto e centrato, paradossalmente lavora sull’essenziale, sottraendo tutto ciò che è marginale e ridondante, e in alcune occasioni si trova nella condizione di non fare nulla e il suo fare niente equivale a regalare il più importante dei supporti: la fiducia e la libertà di espressione. Quando l’operatore invece di sottrarre aggiunge di solito si trova nella condizione di desiderare ardentemente qualcosa, e una condizione mossa dal desiderio porta a una dimensione ansiogena, che spinge inevitabilmente l’operatore a fare molto e ad agire prima che gli sia richiesto. Per quale ragione l’operatore ha difficoltà ad attendere? Prima di rispondere a questa domanda è importante sottolineare il ruolo che assolve nell’emotività e nell’equilibrio affettivo dell’operatore il desiderio, che altro non è, che il risultato e l’esternazione di un vuoto ancora non del tutto colmato. Perché? Perché l’empatia comporta un’osservazione pulita e non inficiata dalla necessità, dai bisogni e dalle convinzioni personali che spesso ammantano la maggior parte delle comunicazioni umane. E se l’operatore sente di non essere abbastanza entrerà in una condizione di sovrastimolazione. In poche parole in un eccesso del fare che è una sua imprescindibile conseguenza. Ritornando a Masud Khan “colui che attende trova. La non-attesa garantisce la non-scoperta”. L’attesa del terapeuta comporta l’ascolto dei reali sentimenti che l’altro desidera esprimere, poiché offre uno spazio di espressione e di movimento; mentre la non attesa porta alla non conoscenza poiché il desiderio, soffocando l’altro, lo chiude in una gabbia dalla quale il paziente difficilmente riesce ad uscire. Per quanto riguarda la musicoterapia Benenzon scrive: "una delle difficoltà del musicoterapeuta e sapere aspettare, ascoltare e capire il paziente. Il paziente è tale perché non è stato aspettato, né ascoltato né capito. Il terapeuta che nella sua vita no è stato aspettato né ascoltato né capito, dovrà dedicare un periodo della sua formazione a modificare quanto rimane ancora in lui di questo vissuto”. Un Terapeuta che non è stato aspettato, ascoltato e capito vive dentro di sé inevitabilmente un vuoto che cercherà di colmare entrando in quella dimensione atavica e viscerale del fare. Un terapeuta che ha dedicato un periodo di tempo a modificare questa sua esperienza di vuoto non avendo più elementi da colmare aspetterà.



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