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La consapevolezza di restare nel corpo

Chi siamo? Che persona vogliamo essere? Che gesti e azioni vogliamo che il nostro corpo possa compiere? Gli uomini, le persone si pongono mai domande simili? E se si in che termini portano avanti la loro vita? L’espressività corporea ci insegna a portare il corpo li dove desiderava ardentemente giungere e soprattutto, nel modo in cui desiderava farlo. Étienne Decroux attore e artista del mimo affermava: “Il modo in cui si dà, vale più di quello che si dà. Quindi guardate soprattutto come il mimo si china per cogliere un fiore. È questo l'importante, perché solo questo ci dice ciò che è utile sapere, e non che un fiore che prima era nel prato adesso è sul petto". Cartesio in una famosa frase afferma “cogito ergo sum” e cioè penso dunque sono. Ma è veramente così centrale il nostro pensiero? Ci dice veramente chi siamo? E soprattutto, pensare è un’azione che definisce chi siamo e cosa vogliamo? Oppure bisognerebbe insegnare agli uomini e ancor prima ai bambini il modo in cui utilizzare il pensiero creando cioè quell’alternanza tra la mente e corpo e insegnare ad usare l’uno quando serve e cedere il passo all’altro quando bisogna restare nel corpo e cioè sentire e in ultimo accettare. In espressività corporea non conta cosa facciamo o cosa il corpo decide di fare, ma l’aspetto che più determina l’atto di esistere e di esserci è il modo in cui lo facciamo e in questo Etienne Decroux riassume in poche parole il cuore dell’azione consapevole e dell’espressività umana. Antonin Artaud in un testo sul teatro scriveva: "bisogna ammettere nell'attore l'esistenza di una sorta di muscolatura affettiva corrispondente alla localizzazione fisica dei sentimenti". Decroux e Artaud mettono in evidenza il come e gli strumenti che uomo può utilizzare per sentire e portare fuori la propria emotività. Una muscolatura affettiva corrispondente alla localizzazione fisica dei sentimenti e cioè un corpo che si muove unicamente per esprimere. Quanti in questo emisfero scelgono la strada del sentire e quanti invece si fermano nella gabbia del pensare? E soprattutto quando scelgono, decidono, scoprono chi vogliono essere quale strumento utilizzano? Il corpo o la mente o nella giusta misura usufruiscono di entrambi? Se è vero che è la mente a dirci chi siamo perché nella determinazione della nostra vita sono così importanti le azioni? E ancora; la mente è veramente capace di risolvere problemi che abbisognano dell’agire e del modo in cui ci relazioniamo alle cose che riteniamo importanti? Un gesto significativo comporta elementi di consapevolezza, apertura, pazienza e soprattutto accettazione. È possibile accettare quella parte di noi che ci disturba se l’unico strumento che utilizziamo è la mente e il pensiero? È possibile accettare quello che siamo se ci relazioniamo continuamente o compulsivamente al pensiero? Quando ci si muove o portiamo a compimento un gesto la nostra persona può scegliere di essere li insieme al gesto o fuori dal corpo. Ho visto tante persone partecipare ai miei laboratori che nel momento in cui si esprimevano o cercavano di farlo si interrogavano se l’azione che stavano portando a compimento fosse giusta o sbagliata o persone con problematiche relative alla deambulazione che nel momento in cui compivano un semplice gesto spostavano completamente l’attenzione sulla malattia. La mente non ha niente a che vedere con l’accettazione poiché l’accettazione non comporta il porsi delle domande elaborate solo in superficie, non si interroga sul perché, il gesto quando è vivo non esce fuori dal corpo ma esiste come esperienza all’interno di esso, poiché l’uomo ritornando ad Artuad è dotato di una sorta di muscolatura affettiva corrispondente alla localizzazione fisica dei sentimenti. Il fine stesso dell’espressività corporea è quella di rendere il corpo un luogo fisicamente e umanamente emozionale ponendosi a una giusta distanza dai sistemi di pensiero affinché l’uomo piuttosto che pensare la vita possa sentirla e quindi viverla. Chi siamo? Cosa vogliamo essere? Sono domande che acquistano valore nel momento in cui l’individuo decide di affidare la propria sorte alle azioni e rendere il pensiero uno strumento di pianificazione e non di azione poiché se facesse questo cadrebbe in una gabbia di sofferenza e dolore, attraverso azioni rimuginative. L’uomo per poter vivere la vita che desidera deve prima di tutto imparare a volare, a restare illeso nell’oceano del dubbio e nelle tempeste generate da paura e insicurezza, un volo che solo il corpo è in grado di affrontare poiché la mente conosce solo la paura



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