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I passi e il contatto con la terra

Il modo in cui camminiamo dice molto su chi siamo e il modo in cui partecipiamo e occupiamo lo spazio. La postura del corpo, la posizione della testa e quelle delle braccia e l’andatura. Camminare racconta la nostra storia corporea, il rapporto che abbiamo con il nostro corpo e il livello di radicamento alla terra. Ogni qual volta nei miei laboratori ho chiesto se ci fosse qualcuno che “sentisse” e percepisse il contatto del corpo con la terra la risposta è sempre stata negativa e questa semplice risposta mette in evidenza il nostro livello di connessione o al contrario la divisione esistente tra noi e il corpo dalla lontananza tra noi e la realtà del qui e ora. Più si è lontani dal qui e ora tanto più distanti si è dalla realtà; meno sensibili siamo al contatto con la terra più poniamo l’attenzione verso l’alto e quindi rivolgiamo l’attenzione non verso chi siamo realmente ma verso ciò che vorremo essere o su ciò che abbiamo inevitabilmente perso e che nel bene e nel mane non ci appartiene. La terra ci tiene ancorati a ciò che siamo e all’esperienza che stiamo vivendo o come afferma Jon Kabat Zinn “è come se baciassimo la terra e questa ricambiasse il bacio”. Se stiamo sulla terra teniamo conto della realtà e del modo in cui si esprime e si trasforma attimo dopo attimo. Se non teniamo conto dei passi siamo altrove in angoli sperduti della nostra mente, dove il passato e il futuro si alternano vicendevolmente alimentando paure, rimorsi, errori, e soprattutto, dando nutrimento ad esperienze che non siamo in grado di mutare e sulle quali non abbiamo nessuna possibilità di controllo. Se stiamo sulla terra restiamo aggrappati al corpo, alla sua condizione di verità, di necessità e azione. Camminare quindi ci racconta dove siamo, in che modo percepiamo la nostra esperienza e la modalità in cui decidiamo di affrontarla. Nelle mie esperienze di moderatore corporeo ho visto spesso braccia rigidissime attaccate al corpo, spalle chiuse o sollevate, occhi rivolti verso il basso e testa reclinata. Il corpo che raccontava incertezza, paura, vergogna, severità. Corpi che trascinavano i piedi o che percorrevano con impazienza il loro percorso di marcia. Corpi inclinati in avanti, braccia frettolose e gambe incapaci di piegarsi e prendere finalmente il volo. Quel volo che ci ancora alla terra nei momenti d’incertezza e che ci rende autentici in un istante di fragilità. Camminare quindi come spiega Jon Kabat Zinn “è una caduta controllata in avanti, un processo che ci si mette molto tempo a padroneggiare. Quando la mente se ne va, dunque, prendiamo nota di dove sia andata a finire, di ciò che abbiamo in mente al momento, e poi scortiamola con gentilezza riportandola al momento presente, a questo preciso respiro, a questo preciso passo…Non occorre guardarsi i piedi: loro sanno, misteriosamente, dove si trovano, possono essere abitati dalla consapevolezza e trovarsi in contatto, attimo per attimo, con ogni parte del ciclo motorio di cui è composto il passo e anche con l’intero corpo che cammina e respira”. Nell’espressività corporea il passo è di fondamentale importanza, per giungere alla sua autenticità deve inevitabilmente tornare sulla terra e riprendere contatto con la realtà e regalare al corpo gentilezza e la umana fragilità, in maniera tale che non si senta ingabbiato nelle regole precostituite che la mente crea e riconfigura nel trascorrere del tempo. Nell’espressività corporea camminare equivale ad esprimersi, a sentire, a riconsiderare la realtà rendendola partecipe di un contatto intimo e profondo che non ricerca alcuna regola o schema precostituito, cerca solo ciò che è originario e reale e cioè la profonda relazione che esiste tra l’essere e la realtà, tra il momento presente e l’ultimo movimento abitato capace di ridare emozione al gesto.



 

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